Montagne Dipinte e gli spazi del pensiero
Era il 2011 quando ho cominciato a lavorare al progetto Montagne Dipinte. Dopo tanti anni lontano dal posto dove sono nato, è stato necessario tornare e, quasi come se fosse un processo di riappropriazione, ho cominciato a dipingere quel paesaggio. Fin dall’inizio ho alternato rappresentazioni più dettagliate a studi e opere più libere, realizzando dei lavori minuziosi e altri maggiorante interpretativi.
In un primo momento, le opere che suscitavano più interesse erano quelle che rappresentavano fedelmente le montagne, probabilmente per la loro complessità tecnica. Quando mi è stato chiesto che cosa aggiungessi alla fotografia, ho risposto che era proprio la pittura. Sì perché credo che, per quanto si voglia rispecchiare la realtà, il processo creativo e i limiti della tecnica faranno sì che sia sempre presente un certo grado di astrazione. E la pittura aggiunge spessore emotivo, vibrazione e complessità.
Realizzavo contemporaneamente altre opere con tecniche diverse, dove il paesaggio veniva descritto a grandi linee, in maniera sintetica o nelle quali introducevo elementi grafici puramente astratti. Questa volta il dubbio per alcune persone era se fossero dei lavori non finiti.
Le opere che stilisticamente uniscono figurativo e astratto, sono attualmente una parte fondamentale delle Montagne Dipinte.
La prima opportunità di esporle l’ho avuta a Milano per l’apertura dello showroom dei designer Mirko Pancaldi + Elena Barbella Studio. Poi, nell’importantissima mostra “Le facce della Montagna”, curata da Giulia Cirillo con la partecipazione del critico d’arte Cesare Orler, a Madonna di Campiglio (20-27 luglio 2019). Per questa occasione, in vista dell’incontro con il pubblico in una artist talk in Galleria Orler, è stato importante generare una riflessione sui nuovi lavori e questo è il testo del mio intervento:
«Sono paesaggi che conosco bene, dove sono cresciuto e per questo sono il soggetto che preferisco. Dipingere è una passione che mi dà una grande soddisfazione.
Questi quadri, che rappresentano dei luoghi così belli, offrono un’esperienza estetica di per sé gratificante, ma invitano anche ad una riflessione. Dove la raffigurazione è incompleta o il paesaggio è sostituito da campiture di colore, si creano quei “vuoti” che lasciano posto al pensiero. Il non finito ha questa funzione, simula l’incompletezza e in quello spazio si insinuano i pensieri.
È come quando cammino in montagna e a volte, distratto, penso ad altre cose e sembra che il paesaggio sparisca. Le camminate in mezzo alla natura favoriscono la meditazione e in certi momenti quest’ultima s’impone.
Anche le linee di costruzione sono lì a raccontare un processo e non una situazione definitiva e statica. Rappresentano un prima, un momento temporale diverso da quello della parte, per così dire, finita e perciò successiva.
Le figure geometriche “falsano” così la rappresentazione e lasciano spazio all’interpretazione. Sono l’input di una domanda, lo stimolo a trovare un senso».
Riporto qui anche il commento di Cesare Orler tratto dall’articolo pubblicato sulla rivista specializzata ARTEiN World:
«I suoi acrilici su tela rappresentano vedute di varie vette campigliane con una resa tecnica impeccabile, “nonostante questo è ancora un’astrazione” afferma l’artista, “entrando nei dettagli più minuti, prima o poi, si dovrà per forza compiere un’astrazione”.
Negli ultimi dipinti introduce il collage celando brevi sezioni di paesaggio che lui chiama “pause del pensiero” in cui non basta più la semplice contemplazione, ma è necessaria una riflessione personale che vada a completare le lacune ripristinando l’immagine. Il tutto è accompagnato da linee di disegno e forme geometriche monocromatiche che regolano lo spazio, ne dividono i piani e sottintendono, oltre a un voluto non finito, una sorta di guida alla lettura dell’opera».
L’esposizione ha avuto successo e anche la stampa, quali i quotidiani L’Adige e Trentino, ne ha parlato. Anch’io ho avuto un buon riscontro e continuerò a dipingere montagne, a camminare e pensare a cosa c’è di bello in tutto questo.
Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno reso possibile la mostra, in particolare gli altri artisti partecipanti (Andrea Romanello, Andrea Viviani, Daniela Casoni, Ferruccio Bonapace, Fulvio Cimarolli e Paolo Bisti), Mario Zanon che ha ideato l’evento, la curatrice Giulia Cirillo, l’autrice Giovanna Recusani, i critici Stefano Orler e Cesare Orler della Galleria Orler.
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