I miei rapporti col cosiddetto “spirito”, ad esempio, sono identici a quelli che col mangiare e col bere. Talvolta non c’è nulla, al mondo, che mi attiri così forte e mi sembri più indispensabile dello spirito, della possibilità di astrarre, della logica, dell’idea. Ma poi, quando ne sono sazio e sento il desiderio e il bisogno del contrario, ogni forma di spirito mi nausea come cibo guasto. So per esperienza che questo modo d’agire viene considerato arbitrario e privo di carattere, anzi addirittura illecito, ma non sono mai riuscito a capire il perché. Come sono costretto, infatti, ad alternare di continuo alimentazione e digiuno, veglia e sonno, così devo anche oscillare di continuo tra natura e spirito, tra empirismo e platonismo, tra ordine e rivoluzione, tra cattolicesimo e spirito protestante. Che un uomo, per tutta la vita, possa venerare sempre lo spirito e disprezzare sempre la natura, essere sempre rivoluzionario e mai conservatore o viceversa, mi sembra, sì, una gran prova di virtù, di carattere e di fermezza, ma mi sembra anche, e non meno, una cosa esiziale, folle e ripugnante, come se uno volesse sempre mangiare o dormire. Eppure tutti i partiti, politici e culturali, religiosi e scientifici, si fondano sul presupposto che un così pazzo atteggiamento sia possibile, sia naturale.
Hermann Hesse, “La cura” (1925)